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Alice nel paese dei giovani caduti


Alice viveva in un mondo che aveva una pioggia particolare. In questo mondo, nei giorni di tempesta piovevano ragazzi. Giovani uomini e giovani donne cadevano dal cielo tutte le volte che si scatenava il mal tempo. Nel periodo in cui comincia questa storia Alice ha 25 anni e fu il periodo peggiore, perché ci furono delle piogge torrenziali e tanti giovani cadevano dal cielo e stramazzavano al suolo. Questi ragazzi venivano chiamati i "giovani dalle speranze perdute” e chiunque nella fascia di età fra i 25 e i 30 anni poteva cascarci. Queste piogge infatti, erano caratterizzate da vortici che potevano risucchiare i giovani “dalle belle speranze”. I più piccoli erano immuni. Molti genitori cercavano di salvare i propri figli da questo destino chiudendoli in casa al compimento dei 25 anni di età. La stessa sorte era toccata ad Alice che, raggiunta l’età critica, fu rinchiusa in casa.

Alice era uno spirito libero e il suo sogno più grande era quello di girare il mondo. Non aveva mai fatto le stesse cose delle sue coetanee e se loro riuscivano a trovare una propria dimensione restando in casa, lei si sentiva in gabbia, limitata da uno spazio che non la stimolava.

Proprio quell'anno in cui Alice compì 25 anni, le piogge torrenziali stavano facendo razzia di giovani e i genitori di Alice erano molto preoccupati. Alice passava il suo tempo guardando dalla finestra e talvolta si soffermava proprio su quei corpi portati via dal vento e poi scaraventati al suolo.

In breve tempo le strade del paese si riempirono di corpi. Gli addetti alla rimozione li recuperavano e li portavano nel museo delle speranze perdute.

In poche occasioni era possibile uscire, nelle giornate di quiete, quando il sole tornava ed era perfino possibile fare delle passeggiate. Alice non perdeva occasione di fare una delle sue lunghe camminate durante le quali rifletteva sul modo migliore per scappare. Percorreva anche le strade che recavano ancora l’impronta sbiadita dei giovani e delle loro speranze.

Ogni giovane in quel paese aveva un colore diverso che brillava e lo rendeva visibile. Anche Alice ne aveva uno. Ma quando la pioggia risucchiava i giovani e questi cadevano in terra, i loro colori si spegnevano e si ingrigivano. Una volta caduti vittima di quel vortice per loro era la fine, i loro colori si sarebbero spenti e non ci sarebbe più stata speranza. Dopo queste piogge il paese restava grigio per diversi giorni. Alice percorreva quelle strade camminando sui colori spenti che rappresentavano le speranze di quei ragazzi e intanto pensava alle sue. Pensava al desiderio di conoscere il mondo, alla voglia di mettersi alla prova, al bisogno di essere ascoltata. Ma quelli erano tempi bui e Alice si ritrovava sola a rimuginare su queste cose senza nessuno che gli indicasse la strada, ma non intendeva abbattersi. Avrebbe trovato la soluzione.

Un giorno, durante una di queste giornate di quiete, Alice stava guardando come sempre fuori dalla finestra quando un particolare attirò la sua attenzione. Era un pomeriggio di quelli del periodo grigio, fra una pioggia e l’altra e gli spazza speranze non sarebbero arrivati prima di sera, eppure in quelle vie deserte Alice scorse una presenza. Era bianco e brillante, la luce grigia e fioca del pomeriggio si rifletteva sul manto di quella figura. Non era un giovane, non era neppure un essere umano, eppure indossava un panciotto.

Era un coniglio bianco. Alice lo guardava muoversi velocemente fra un giovane e l’altro. Aveva una disinvoltura nei gesti che lasciava pensare ad un’attività abitudinaria, eppure Alice non lo aveva mai visto prima. Stava frugando fra le speranze ingrigite dei giovani piovuti dal cielo e con gesti frenetici, ora ne lasciava uno dove lo aveva trovato, ora ne trascinava un altro verso la sua tana.

Alice non aveva mai visto una cosa del genere ed era curiosa di vedere cosa succedeva in quella tana. Era la sua occasione per fuggire via da quel posto grigio e, magari, vivere l’avventura che aveva sempre sognato. Uscì di casa senza pensarci due volte, velocemente, senza voltarsi indietro, infilando le scarpe senza allacciarle e recuperando la giacca dall'attaccapanni. Non si rese conto di aver preso per errore la giacca di suo padre. Attese il momento che il coniglio uscisse dalla tana per cercare altri corpi, così da infilarsi nel buco senza essere vista.

Alice si trovò in un corridoio lungo e scuro percorso in tutta la sua lunghezza da chiazze di colore sbiadito. Erano i segni del passaggio di quei giovani, trascinati dal coniglio con le loro speranze alla fine di quel tunnel. Alice stava per scoprire cosa c’era dall'altra parte e il cuore cominciò a batterle forte.

Alla fine del percorso si trovò davanti un luogo sconosciuto eppure familiare, che aveva l’impressione di aver visto nei sogni. Era una specie di giardino e la cosa che la sorprese di più furono i colori. I colori erano brillanti, accesi, talmente forti da accecarla. Il suo paese non era così colorato. Si guardò intorno e vide che quel giardino era pieno di persone. Ma non erano persone a caso, erano i giovani della pioggia, quelli delle speranze perdute che giocavano e scherzavano fra di loro, pieni di vita e colorati come non erano mai stati. Fra i loro volti, Alice ne riconosceva alcuni, erano stati suoi amici, avevano studiato insieme, avevano coltivato le speranze nello stesso orto e con queste avevano colorato il proprio corpo. Ma i suoi vecchi amici avevano speranze più colorate delle sue. In quel mondo parallelo tutto era più brillante. I suoi colori al confronto erano sbiaditi e malinconici, perché influenzati dal clima del suo paese che non lasciava respirare le speranze. In questo giardino invece i ragazzi avevano ritrovato i loro colori e la felicità. Lì non pioveva mai e le speranze non erano spente.

Al centro del giardino, fra gli alberi c’era un lungo tavolo con servizi da tè di diverso tipo e dove era possibile sorbire i gusti di tè da tutto il mondo. Alice si accomodò fra la ragazza viola e il ragazzo indaco, nel suo paese erano fidanzati e volevano sposarsi, ma la pioggia delle speranze perdute li travolse un pomeriggio d’autunno e il loro sogno di sposarsi andò in frantumi. Alice non si sarebbe mai aspettata di rivederli insieme e felici come non erano mai stati.

A un tratto notò qualcuno che non aveva mai visto prima. Indossava un cappello a cilindro e una giacca elegante. I suoi amici gli dissero che si trattava del Cappellaio matto. Lui era un folle. Nel suo paese i folli erano quelli che si salvavano dalla pioggia delle speranze perdute. Erano quelli che non avevano speranze da soddisfare perché vivevano sotto la campana di vetro della follia che gli permetteva di fare qualunque cosa.

Alice non aveva mai incontrato il cappellaio perché nel suo paese i folli vivevano in un ghetto, un luogo isolato che li rendeva immuni dalle precipitazioni dei ragazzi senza speranza. Perché i folli facevano quello che volevano. I folli non avevano speranza perché vedevano un mondo differente, senza freni. Un mondo in cui tutto è possibile. Il paese di Alice non aveva accettato i folli che vivevano nella sregolatezza, per questo Alice e il Cappellaio non si erano mai incontrati. Alice tuttavia, notò subito che si trattava di una persona diversa. Lo vedeva dal suo sguardo così luminoso e vivace, e dai suoi colori. Erano diversi rispetto a quelli degli altri giovani. I suoi occhi erano rossi e il suo colore era l’oro, un oro talmente lucente da ricordare il colore del sole.

Dal canto suo il Cappellaio aveva già notato Alice fin dal suo ingresso. Aveva visto la curiosità nello sguardo di lei. Aveva capito che Alice non si fermava in superficie, procedeva per la sua strada e andava oltre i confini che le venivano imposti. Non si sarebbe trovata lì altrimenti.

Guardandosi per pochi secondi, nella confusione di quella festa, in quel mondo della speranza ritrovata, fra le risate e il caos dei giovani che avevano ritrovato le loro speranze, Alice e il Cappellaio si guardarono in silenzio e si capirono. Si dissero tante cose senza parlare. In questo dialogo muto, lui le disse:

<< Ehi, ti conosco sai?>>

<< Davvero?>>

<< Si, ti ho vista sognare alla finestra…>>

<< Si ero io.>> << Ricordo che il suono dei tuoi sogni era talmente forte che ho avuto un fischio alle orecchie…>>

<< I miei sogni fanno rumore.>>

<< Però ti ho vista triste…> << Io non mi sono accorta di te…>>

<< Io dal primo momento…>>

<< Come?>>

<< Mi sono riconosciuto in te. Quel suono mi ha richiamato all'attenzione e tu eri lì. Siamo uguali. Sei matta anche tu, solo che non lo sai ancora.>>

Il cappellaio le disse che quello era stato per lei il primo gesto di follia, che aveva dimostrato coraggio a saltare nel buio e salvarsi dalla pioggia delle speranze perdute.

Passeggiarono insieme nel giardino e Alice ascoltava le parole del Cappellaio con avidità. In poco tempo sentì di conoscerlo da sempre e di avere molto in comune con lui.

Quel mondo permetteva ai giovani di trovare la loro strada di scoprire loro stessi.

Alice notò che i suoi compagni avevano finalmente trovato la felicità. Lei e il Cappellaio girarono il mondo senza mai lasciare il giardino. Lui le mostrò le meraviglie che avrebbe potuto trovare. Tutto questo sarebbe stato possibile solo se non si fosse fatta trascinare dal vento delle delusioni. Il vento che trascinava tutti i giovani dalle speranze perdute nella pioggia infernale che metteva fine ai loro colori.

<< Come faccio a non farmi trascinare dal vento delle delusioni?>>

<< Ti dirò un segreto Alice, è quasi impossibile non farsi trascinare perché le delusioni con la forza dei loro vortici, prima o poi colpiscono tutti. I giovani come te sono più a rischio ma c’è un modo per affrontare questo pericolo Alice…>> << Dimmi…voglio sapere…>>

<<…Devi lasciare che le delusioni ti attraversino e restare calma. Molte persone si agitano perché hanno fretta di farle passare, ma non è così che si salvano. Devi fermarti e aspettare che esse ti attraversino. Dopo un po’ andranno via da sole e tu sarai libera di continuare per la tua strada.>>

<< Ci proverò…>> << Non devi provarci. Devi riuscirci.>>

<< Cosa ne sarà di noi?>> << Ora devi pensare a te stessa. Io starò bene.>>

<< Voglio restare con te.>> << Non è possibile, apparteniamo a due mondi diversi e io devo restare qui per aiutare tutti questi ragazzi.>>

<< Vieni con me.>> << No Alice, queste persone hanno bisogno di un po’ di follia per tirare avanti.>>

Voleva restare in quel mondo e voleva restare con lui ma prima doveva tornare a casa e provare a farcela da sola. Le piogge sarebbero finite un giorno e le speranze dei ragazzi non sarebbero andate perdute. Alice aveva paura di lasciare quell'isola felice, quel posto colorato e tornare alla grigia realtà. Il Cappellaio, naturalmente, era triste di vederla andar via, ma sapeva quanto fosse necessario lasciarla andare. Appartenevano a due mondi diversi e prima che potessero incontrarsi di nuovo, Alice doveva trovare la sua strada. Ma non l’avrebbe abbandonata, il Cappellaio, sia pure a distanza, le avrebbe indicato la strada giusta per realizzare i suoi sogni.

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